Vivere insieme…morire da soli
2017
La premessa di questo articolo riguarda la solidarietà e il motivo per cui la maggior parte delle persone sceglie di vivere insieme, accalcate come formiche nello stesso alveare urbano. Perchè decidiamo di ammassarci insieme invece di acquistare una casettina alle pendici di qualche collina o in cima ad una montagna e isolati da tutto e tutti? Sarà il bisogno di avere comodi servizi? Sarà il bisogno di uscire, sentire la presenza di calore umano a confortarci e rassicurarci? D'altra parte la sera si esce per fare una passeggiata, non si va in luoghi isolati ma si va in posti affollati, si evade dalla tranquillità del proprio focolare domestico per immergerci in un mare di individui. Finchè tutto è normale tutti siamo solidali, "Prego...prima lei", "Buongiorno, ha bisogno di una mano?". Se però uno di noi è vittima di un episodio di violenza allora scatta la paura e predomina l'egoismo. Non importa se un giorno potrebbe capitare a me. Meglio farsi i fatti propri. Che mi frega se stanno picchiando quello, se stanno violentando quella. Chi me lo fa fare. Episodi di questo tipo sono molto frequenti, ne ho letti, ne ho visti in tv e internet. Questa volta però l'ho vissuto in prima persona. Non avrei mai immaginato di dovermi confrontare con me stesso, con le mie paure.
E' il 16 febbraio 2017, a Pisa è una bella giornata nonostante la stagione, sono passate da poco le 15:00 e sono uscito dal mio ufficio per andare a casa. Mi reco alla fermata dell'autobus, la LAM BLU. La fermata vicino a Mediaworld in Via Matteucci, zona Cisanello.
Ad aspettare l'autobus vi è un'altra persona, un ragazzo sui 30 anni, alto circa 1 metro e 80, testa rasata e vestito in maniera trasandata, gioca col cellulare e ascolta musica. Qualcosa mi dice che non è una persona comune, canta e parla da solo. Arriva l'autobus e saliamo dalla porta anteriore. Ci spostiamo verso la parte posteriore dell'autobus mentre le persone scendono dalla porta centrale. Uno di loro, uno straniero, forse per paura che si chiudano le porte, si appresta frettolosamente a uscire e nel farlo spintona rudemente una signora facendole cadere la valigia a terra. Un episodio che capita frequentemente e che mai avrei pensato potesse scatenare l'ira, la violenza, la voglia di sangue di qualcuno. Ebbene è successo. Il ragazzo prima lo insulta, poi, accorgendosi che l'uomo era straniero, forse originario di un paese dell'est europa, scende dalla porta centrale, lo raggiunge e lo colpisce ripetutamente con pugni alla testa, al volto facendolo cadere a terra. Tra insulti e pugni la sua rabbia non si placa, colpisce con calci alla testa l'uomo che ormai è a terra inerme. Il tutto sotto gli occhi atterriti di circa 20 persone presenti sull'autobus. La gente urlava "basta, basta" ma la violenza continuava. Nessuno che uscisse dall'autobus a frapporsi tra il carnefice e la vittima per salvare quest'ultimo da una possibile morte. Non avevo mai assistito ad una così tanta violenza, cruda e sotto i miei occhi. Ormai l'uomo era in balia del suo aguzzino, che continuava a colpirlo alla testa. Preso dalla paura che potesse ucciderlo sono sceso dall'autobus e mi sono frapposto tra i due per calmare il ragazzo, sempre più eccitato e inebriato come se si alimentasse dalla stessa violenza, impedendo così che potesse finire in tragedia. Il mio intervento non è stato mosso da coraggio ma dalla paura che quel pover'uomo fosse ucciso. Non ho pensato che avrei potuto rischiare qualcosa ma quando l'indifferenza e la paura generale prevaleva sulla solidarietà mi sono mosso. Così grazie al mio intervento tutto ha avuto quasi fine. L'uomo aggredito intanto, sotto shock e incapace di parlare, perdeva sangue dalla testa e aveva ferite sotto l'occhio da cui fuoriusciva copiosamente sangue. Ho cercato di tamponare le ferite con dei fazzolettini e nel frattempo ho detto all'autista, una donna: "Chiami l'ambulanza e anche la Polizia". Il giovane aggressore sentita la parola Polizia comincia a inveire contro di me e minacciarmi. Sosteneva che quella "gente di merda", "quegli zingari vanno eliminati". Così la paura prevale su tutto e nessuno riesce a chiamare la Polizia ma solo l'ambulanza. Un intero autobus sotto controllo da un pazzo furioso. Così l'autista, rassicurando il malcapitato di aver chiamato l'ambulanza, chiude le porte e si mette in marcia. Mentre l'autobus lascia la fermata, il ragazzo continua a inveire contro di me e contro la vittima insultandolo. "Pezzo di merda, devi morire", e a me: "Prima gli italiani, sei italiano vero?" Io: "si si, certo, sono Italiano" e per calmarlo continuavo ad assecondarlo dandogli ragione su tutto. Capivo infatti che una qualsiasi parola contraria o lontanamente non coincidente coi suoi "principi" potesse nuovamente far ricrescere la rabbia che pian piano stava scemando. L'autobus intanto proseguiva e i suoi occhi minacciosi incrociavano in segno di sfida i miei. Non avrei mai immaginato però che tra la gente si levasse un segnale di complicità. Un ragazzo, non credo per paura, gli sorride e gli da pure il "cinque"dimostrandogli comprensione e sostegno alle sue astruse idee di giustizia. Decido così di scendere anticipatamente dall'autobus per evitare che la sua fermata coincida con la mia. Non vorrei infatti che scopra dove abiti, meglio evitare. Ho anche un'altra idea, scendere per chiamare la polizia. Lo faccio subito, compongo il 113 ma risulta occupato. Faccio il 112 e racconto tutto. Poco dopo mi richiama la polizia, hanno notato il mio cellulare sulla chiamata. Rispiego il tutto ma mi confermano che nel frattempo anche l'autista li aveva avvisati, forse il pazzo era sceso dall'autobus.
Il terrore, la paura quindi ha avuto il sopravvento sulla solidarietà e sulla pietà. Chissà magari un velato sentimento di razzismo ha reso il tutto ancora più facile. Tornando alla premessa mi chiedo quindi che senso abbia vivere tutti insieme se poi nel momento del bisogno siamo da soli?
PS: Che strano trovarsi da siciliano su un autobus pieno di persone che non vedono, non sentono e non parlano. Non è di certo un luogo comune.
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