Questione personale

Apr
2011
04

scritto da on Riflessioni d'autore

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Vi ricordate l'articolo Niente di personale? Bene, sembrava che il tutto si chiudesse lì ma così non è stato purtroppo. Pensavo infatti che aver dichiarato publicamente l'accaduto in un organo collegiale come un consiglio di dipartimento, si fosse messa una pietra sopra e che si fosse archiviato tutto mettendo nero su bianco. Nulla di ciò.

Sono passati 3 mesi da quel 7 settembre, è dicembre, il verbale di quel consiglio mi viene consegnato dal Segretario Amministrativo (io infatti mi occupo di archiviare i verbali in un registro) ma con mio stupore scopro che in quel verbale non appare quasi nulla di quanto dichiarato sia da me che dal Decano, prof.ssa Patrizia Lendinara, in mia difesa. Basito di ciò, chiedo spiegazioni al Segretario verbalizzante, il dott. Roberto Pecoraro,  che allargando le braccia afferma …”Il Decano ha deciso così”.  Mi chiedo  … ma non è lui il segretario verbalizzante? Il verbale non è il resoconto di quello che succede? E devo dire che nulla aveva sconvolto quella normale mattina di settembre al di fuori della mia vicenda. Naturalmente non sono soddisfatto di questa spiegazione e attendo vanamente che il Decano venga in dipartimento in modo che io possa dialogare con lui. Non avendone avuto l’occasione, presento una richiesta scritta e protocollata in cui chiedo che di tutto ciò ne venga discusso in una successiva seduta del Consiglio di cui a breve, esattamente del 15 dicembre 2010.Il Segretario Amministrativo ricevuta la mia nota perde la calma e con toni molto accesi afferma che le mie dichiarazioni sono state messe fuori verbale perché non c’era il contraddittorio, cioè mancava il prof. Cometa. Pertanto il Decano aveva sciolto il Consiglio anzitempo non curante della mia richiesta di parola. Io naturalmente ricordo ben altra storia. A mio parere le omissioni sono state volute esclusivamente per nascondere la verità e operare nella direzione della emarginazione e chissà anche di una eventuale richiesta di allontanamento da un dipartimento dove ho convissuto in armonia fino a quel fatidico 1 marzo del 2010. Decido così di presentare una richiesta per il prossimo consiglio di Dipartimento, una nota in cui chiedo che si chiarisca sull'episodio del 7 settembre e sui motivi che hanno portato a censurare le dichiarazioni fatte da me e dal decano in seno allo stesso consiglio. Non è facile da intuire ma la mia richiesta scritta provoca una lite furiosa col mio capo, dott. Pecoraro che va su tutte le furie. Non è il caso di scendere nei particolari ma il tutto non rimane tra noi due. Come una madre in difesa del figlio così il decano, prof. Lendinara, decide che sia arrivato il momento di intervenire e oltre alla risposta scritta in cui mi si nega ogni chiarimento in Consiglio in quanto non previsto giustamente dal regolamento, entra nella mia stanza e mi sottopone ad una serie di "avvertimenti". "Dott. Crimi, anche io posso procedere scrivendo note al Direttore Amministrativo, su dai, è pur sempre un Preside (il prof. Cometa) e lei è un pubblico dipendente, il suo profilo ne potrebbe subire conseguenze negative, ha scritto cose gravi nel suo blog… ho saputo che ha fatto domanda di mobilità, potrebbe venirne danneggiato…ci pensi dott. Crimi, ci pensi". Chiaramente non vi posso esprimere i toni e l'atteggiamento con cui mi venivanno dette queste frasi ma chiamarlo dialogo è puramente riduttivo, le ho viste come minacce, velate, ma minacce. Insomma io cerco di mantenere la calma ma accuso il colpo e valuto se procedere nella direzione offensiva o fermarmi e accettare l'"accordo", il "patto" come mi è stato spiegato da due docenti, a me vicini, con cui mi sono confidato e a cui ho chiesto parere. Secondo questi ultimi l'accordo non sottoscritto sarebbe stato…tu ti fermi e non disturbi e io non ti metto i bastoni tra le ruote. Uno di questi docenti a cui mi sono rivolto è il prof. Nicola Gardini, prof. di Letteratura Italiana alla Oxford University. Vi chiederete cosa centra quest'uomo con me? Il prof. Gardini, strano ma vero, era un ricercatore che afferiva al mio dipartimento e che ha subito la stessa sorte dagli stessi personaggi che oggi stanno esercitando il loro potere nei miei confronti. E' stato oggetto suo malgrado di una disputa baronale  e alla fine ha deciso di abbandonare l'università italiana. La sua storia è raccontata nel suo libro … I baroni... leggetelo. Il prof Gardini mi consiglia di porre un freno, d'altra parte quello che avevo da dire l'ho detto e tutti lo hanno saputo. Così decido di porre le armi nel cassetto e attendere. Un dettaglio non di poco conto, il Consiglio di Dipartimento del 15 dicembre 2010 non vedrà mai la luce, mancherà il numero legale. In 5 anni è la prima volta che mi capita...chissà come mai.

I mesi passano e intorno a me si fa terra bruciata. I docenti vicini al prof. Cometa mi evitano, il segretario amministrativo non entra neppure nella mia stanza ed evita di coinvolgermi in ogni attività lavorativa. Quando è costretto lo fa per interposta persona, lo dice al mio collega che prontamente riferisce. Alcuni esempi per fare capire la situazione. Il prof. Cometa ha la necessità di aggiornare una pagina del dottorato del sito web del dipartimento ARCO, invece di chiederlo direttamente a me, invia una email al dott. Pecoraro, il quale, per non dovermi incontrare e non comunicare con me, inoltra a sua volta l'email al mio collega che a sua volta la inoltra a me. E ancora...il dott. Pecoraro, prima di andare via alla fine di ogni giornata lavorativa, alza il telefono e saluta il mio collega per non dover passare vicino alla mia stanza e salutarlo personalmente. Così via, potrei continuare ancora. Il mio lavoro si riduce enormemente, vengo emarginato giorno dopo giorno. Gli unici interventi sono limitati a sporadici casi in cui alcuni docenti mi chiamano per problemi informatici o per allestire l'aula multimediale in occasione di qualche evento culturale. Insomma passo il 90% del tempo a navigare in rete.

Una premessa è d'obbligo. Si avvicinano le feste di fine anno, la mia struttura non riesce a raggiungere il numero di componenti che le permetterebbe di "sopravvivere" alla riforma rettorale dell'Università di Palermo che ha voluto un limite minimo al numero di personale docente affinché una struttura non venga sciolta. L'obiettivo è ridurre il numero dei dipartimenti e ridurre i costi. Il 31 dicembre, prima del cenone di fine anno coi miei familiari, faccio una capatina in rete, visito il sito web dell'Università di Palermo e scopro che la mia struttura non esiste più e che presto verrà accorpata ad un'altra, un accordo venuto all'ultimo momento e raggiunto (non mi sbilancio fra chi ma vi lascio immaginare) all'insaputa di tutti. Molti docenti e tutto il personale amministrativo non sapevano nulla. Lo stile del fare tutto di soppiatto e all'oscuro della maggior parte del personale è da applauso. Il tutto va in porto anche perchè in un successivo consiglio di dipartimento si ratifica la decisione di pochi e così in data 1 marzo 2011 muoiono i due dipartimenti e ne nasce uno nuovo, il Dipartimento di Studi Culturali.

Prima che ciò avvenga però devo citare un fatto nuovo che riguarda la mia persona. Premetto che a ottobre ho partecipato ad un interpello da parte della facoltà di Scienze politiche che richiedeva unità di personale per smaltire lavoro arretrato, partecipo precisando che la mia disponibilità sarebbe stata a tempo determinato e da concordare con me e il responsabile del mio dipartimento. La risposta arriva molto tardi, è fine febbraio e giunge una nota a firma della dott.ssa Giuseppa Lenzo, dirigente dell'Area risorse umane. La richiesta è perentoria e l'oggetto recita: "Richiesta di parere al trasferimento a seguito di interpello del sig. Luciano Crimi" senza specificare la temporaneità dell'operazione. La cosa grave è che la nota arriva prima, per pura fatalità spero, al direttore del dipartimento, alias decano, prof.ssa Lendinara che in tutta fretta si preoccupa di far protocollare e firmare la risposta, entro il 28 febbraio, ultimo giorno in cui avrebbe vestito i panni di decano, ovviamente con parere positivo e a mia insaputa. Ne vengo a conoscenza il 2 marzo quando sorridente la "mamma" entra nella mia stanza dicendo: "Ha visto dott. Crimi? Ho dato parere positivo al trasferimento!!!" Io naturalmente cado dalle nuvole e dopo aver scoperto ciò, anche grazie al protocollo informatico, la versione cartacea infatti mi era stata nascosta e conservata con cura nella stanza del dott. Pecoraro, preparo immediatamente una mia nota di risposta alla dott.ssa Lenzo, indirizzata anche al Direttore Amministrativo e al nuovo responsabile della mia nuova struttura che a marzo non sarebbe stata più la prof.ssa Lendinara. Nella nota faccio presente che se non si fosse tenuto conto della mia richiesta (disponibilità a tempo determinato presso la facoltà di Scienze politiche)  il parere da parte del decano della mia struttura sarebbe stato nullo. Faccio altresì presente che debba essere nuovamente riformulata in maniera chiara e non ambigua, questa volta al nuovo responsabile della mia struttura. Insomma si voleva trasformare un trasferimento temporaneo in uno definitivo e togliersi di torno un dipendente che aveva osato ribellarsi al "figlio" ma con il mio perentorio intervento sono riuscito a disinnescare l'ordigno (per adesso).

Mentre dietro le quinte si lavora per "punire" un ribelle e inopportuno impiegato amministrativo arriva prima la risposta scritta da parte della Dott.ssa Lenzo, nelle cui righe si nasconde un leggero disappunto sul risultato mancato, e poi la tanto attesa telefonata della stessa dirigente che mi invita ad un dialogo nel suo ufficio. Un dialogo a dire il vero molto cordiale, come tutto l'ambiente del "palazzo", rimango stranito e preso in contropiede. Mi vengono offerte alla fine varie soluzioni per arrivare ad un accordo che soddisfi entrambe le parti. Insomma tutti siamo del parere che il mio futuro al 6° piano dell'edificio 15 di viale delle Scienze è finito. D'altra parte non è mia volontà essere cacciato. Sarebbe infatti poco onorevole che la piazza pensasse che chi osa ribellarsi al potere venga punito...no, non mi va. Così decido che sia io prendere le redini del mio futuro e propongo un trasferimento temporaneo in altra struttura per testare la nuova sede lavorativa ed evitare sorprese. La dott.ssa Lenzo approva. Dal dialogo però mi pare di aver colto che l'obiettivo della dirigente non è quello di dare una soluzione venendo incontro  all'impiegato scontento e isolato ma di soddisfare il capriccio dei nostri potenti di turno. Mi sembra di vivere una storia manzoniana. Io nelle vesti di Renzo e Lucia, la dott.ssa Lenzo in quelle di Don Abbondio e Don Rodrigo e i Bravi...beh fate voi. Chissà che la provvidenza non mi venga in aiuto!!!  L'indomani un'altra telefonata mi prende di sorpresa. Mi chiama la dirigente dell'Area Ricerca e Sviluppo presso cui ho partecipato ad un interpello. Mi vuole conoscere e mi offre l'opportunità di lavorare lì. Ne sono lusingato e forse sarebbe un'occasione da non lasciarsi scappare. Il colloquio sembra essere andato bene, adesso devo solo attendere che il palazzo si pronunci.

E pronuncia fu. Ma non quello che mi aspettavo. Nonostante il colloquio verbale in cui mi aveva assicurato più volte una assegnazione temporanea, nonostante le sue dichiarazioni scritte in una nota in cui affermava "Pertanto, atteso che nella richiesta avanzata, la S.V.  esprime la disponibilità ad una collaborazione solo temporanea con la Facoltà di Scienze Politiche, la sua istanza verrà sottoposta alla valutazione del Preside della Facoltà di Scienze Politiche e comunque previo parere positivo del Direttore del Dipartimento dove la S.V. oggi risulta assegnato.", la dott.ssa Lenzo sceglie la strada che i "Bravi" le avevano indicato. Invia infatti una nota un mese dopo in cui "...dispone con decorrenza immediata  l'assegnazione della S.V. presso il CSG della Facoltà di Scienze Politiche." La nota, oltre a rimanere ancora una volta ambigua non specificando la natura dell'assegnazione, recita che vi sarebbe stato l'accordo col Direttore del mio dipartimento ma nel protocollo informatico della mia struttura non vi è nulla di ciò, nè in arrivo nè in partenza. Immediatamente ricevuta questa nota mi metto alla tastiera e rispondo non solo alla dirigente dott.ssa Lenzo ma anche agli altri destinatari ai quali, per conoscenza, era stata data comunicazione della mia assegnazione, tra i quali ho aggiunto anche il Direttore Amministrativo. Nella mia lettera questa volta faccio un escursus di tutta la mia vicenda allegando tutte le note interessate, numerandole e commentandole. Mezzo ateneo così verrà a conoscenza di questa mia travagliata storia. Stavolta però, oltre a intimare un passo indietro, minaccio possibili azioni legali qualora si mantenesse questa linea di epurazione.

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